Reportages 2004 - Buona lettura

Le mille luci di Sarajevo

di Salvatore Gagliarde

Il conflitto in Bosnia inizia nel 1992 e termina tre anni e mezzo dopo. Il 6 aprile del ‘92 i Serbi aprono il fuoco sui manifestanti pacifici a Sarajevo. Ecco ciò che resta di quei luoghi, a nove anni dalla fine dello stesso.

Butmir Camp, Sarajevo - BiH, 06.04.2003

 

La notte a Sarajevo è strana e bellissima.

Il buio nasconde tutte le ferite della città, inghiotte tutti gli edifici sventrati dai bombardamenti e cela allo sguardo le cicatrici che i proiettili e le schegge delle granate hanno lasciato sui palazzi grigi, nei quartieri dove la guerra si combatteva casa per casa.

Nel fine settimana la gente esce di casa presto; appena il sole tramonta le strade del centro cominciano a brulicare di vita e i divertimenti non mancano, in questo tutto il mondo è paese, come si suol dire. Ristoranti, bar, pub, discoteche, anche se tutto molto più sottotono rispetto a quello a cui siamo abituati noi, sono gremiti di gente, in media tutti molto giovani e con gli occhi che brillano, un pò per il freddo un pò per l’alcol.

Muovendoti da un posto all’altro ti guardi intorno, è inevitabile.

La cosa più sorprendente, ci si mette un pò a notarla, è che le luci sono tutte accese. Tutte. In ogni palazzo, in ogni casa, in ogni stanza, in ogni parte della città fino all’estrema periferia.

Non puoi fare a meno di chiederti perché.

Mentre i taxi ti scorazzano in giro per i viali, guardando dal finestrino ipotizzi che sia una naturale reazione della gente al black-out del periodo di guerra oppure, semplicemente, che abbiano paura del buio.

Immagini che lascino le luci accese per dire che in quella casa ci vive qualcuno, visto che qui quelle abbandonate a causa dei danni strutturali sono tantissime, meta dei tanti sbandati e senza tetto.

E poi capisci.

In quelle case, in ogni stanza, gli abitanti di Sarajevo fanno festa. In ogni casa, al sabato sera, stappano una bottiglia e brindano. Non roba costosa, niente champagne o raffinatezze simili, no; roba semplice, locale, tipo Szimankya Vorieva (suona bene, devo ricordarmi di registrare il marchio), e tutti ne bevono un sorso, anche i bambini.

Passano la sera insieme e sorridono.

Brindano e sono felici.

Festeggiano il ritorno della normalità.

O almeno mi piace credere che sia così.

 

Nelle foto: Sarajevo nel gennaio 2004 ed il ponte di Solimano a Mostar. Esso divideva in due la città. Fu distrutto durante la guerra in Bosnia. E' stato ricostruito nel luglio del 2004.

Camp Butmir, Sarajevo (BiH), 24 Mar. 2003

 

Da due giorni finalmente c’è il sole. Ieri sono stato a Mostar per una riunione in aeroporto e approfittando della pausa per il pranzo sono andato a vedere le macerie del famoso ponte di Solimano, barbaramente distrutto durante la guerra recente.

La città è tristissima e semidistrutta.

Anche Sarajevo in questo non scherza, la prima volta che sono uscito sono stato a naso in aria tutto il tempo perché la guerra ha lasciato tracce evidentissime praticamente dappertutto, sui palazzi, sulle case, sugli edifici pubblici e privati, per non parlare dei luoghi di culto e senza risparmiare nemmeno i siti di interesse storico.

Non nascondo che la prima volta che l’ho visitata mi ha messo i brividi. L’Apocalisse sembra essere passato di qua.

La ricostruzione e le riparazioni sembrano essere ancora di là da venire ma intanto le moschee spuntano come funghi. Ce ne sono in tutta la città e tante sono in costruzione.

Butmir Camp, dove vivo, lavoro, mangio e mi riproduco (beh, forse questo non ancora) è appena fuori Sarajevo, ma nonostante questo, al mattino presto se c’è silenzio in giro si può sentire la voce del Muezzin che invita i fedeli alla preghiera...

I primi giorni che ho trascorso qua sono stati conditi anche da abbondanti nevicate e da freddo polare, per non parlare dei cieli plumbei che solo l’inverno mittel-europeo può eguagliare, ma come per incanto in due giorni la neve si è sciolta completamente e il cielo si è ripulito, anche se la temperatura continua a ricordarci costantemente che il mediterraneo è lontano.

Ma soprattutto si vede la primavera negli occhi della gente.

I musi lunghi e gli occhi bassi delle persone che incontro si sono trasformati (sarà solo una mia impressione?) in sorrisi aperti e sguardi complici.

Meno male.

Se c’è una città che merita la primavera quella città è Sarajevo.

 

Regards

Sal

 

Un palazzo a Saraievo sventrato dai bombardamenti

 

 

  Reportages