Reportages 2004 - Buona lettura

 

Lavoro e previdenza

Progettare per modernizzare

Punto per punto la riforma del mercato del lavoro firmata da Marco Biagi, che è stata 

ed è tuttora oggetto di animate discussioni e critiche.

di Massimo Zullo

"Riformare il mercato del lavoro è la condizione per conseguire l’obiettivo di aumentare l’occupazione, accrescendone la qualità"

Marco Biagi

    Il 24 ottobre 2003, ovvero 15 giorni dopo la pubblicazione sul S.O. della Gazzetta Ufficiale del 9 ottobre 2003 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è entrata in vigore la c.d. riforma Biagi del mercato del lavoro.

    Dando attuazione alle deleghe di cui agli artt. 1 e 5 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, il governo ha realizzato una riforma di grande rilievo per il mondo del lavoro, ispirata al pensiero del giuslavorista bolognese assassinato dalle BR la sera del 19 marzo 2002. Studioso riformista, Marco Biagi ebbe quale maggiore desiderio quello di modernizzare il mercato del lavoro, per conseguire l’obiettivo di una "società attiva e di un lavoro di qualità". "Progettare per modernizzare" fu il suo motto, la sua radicata convinzione, difesa ogni giorno con orgoglio.

    L’approvazione della legge, che recepisce molti dei principi espressi dal professore bolognese nel Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, giunge al termine di una lunga discussione, di accesi dibattiti e di un intenso confronto politico-sindacale, centrato soprattutto sulla modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e, più recentemente, sulla riforma delle pensioni. Il percorso della riforma è stato particolarmente impegnativo; essa pone le basi sulle quali costruire un nuovo ordine nella architettura dei rapporti sociali legati al mondo del lavoro.

    La principale esigenza che ha ispirato la legge 30/2003, che contiene 6 deleghe al governo, è quella di dare maggiore flessibilità al mondo del lavoro, favorendo l’incontro domanda-offerta e migliorando le possibilità d’utilizzazione del personale; si rileva che questi obiettivi vanno necessariamente coniugati con la salvaguardia delle tutele economiche e normative acquisite da lavoratori e sindacati nel corso degli anni.

    Già la legge 24 giugno 1997, n. 196 (c.d. pacchetto Treu) aveva affrontato le nuove priorità del diritto del lavoro, che si identificavano non più e non tanto con la rigida tutela del lavoratore e con la stabilità del posto di lavoro, quanto nelle emergenze della disoccupazione, del gap fra formazione, qualificazione dei lavoratori e domanda di lavoro, nella tutela previdenziale e nella sicurezza delle condizioni di lavoro. Il pacchetto Treu aveva disciplinato il lavoro interinale, rinnovato apprendistato e contratti di formazione e lavoro, migliorato il part-time, introdotto borse lavoro e tirocini formativi per i giovani, definito i criteri di riforma dei lavori socialmente utili e attenuato le sanzioni per i contratti a termine irregolari; aveva, insomma, iniettato una forte dose di flessibilità in un mercato del lavoro rigido, "ingessato".

    In Italia lavora regolarmente solo 1 cittadino su 2 nella fascia di età fra i 15 e i 60 anni e solo il 42% delle donne (sono le percentuali più basse d’Europa). Solo il 50% dei cittadini paga i contributi sociali (contro il 70% della media europea). La disoccupazione media del 9%, con punte del 18% al Sud e con una forte incidenza sui giovani, over 45 e donne, è fra le più alte d’Europa. Inoltre esistono forti squilibri territoriali: mentre al Sud il 18% dei lavoratori è senza lavoro (si tratta, per lo più, di disoccupati strutturali, con poche speranze di trovare occupazione), al Nord Est spesso le imprese faticano a trovare sufficiente manodopera.

    L’Italia detiene altri record relativi al mercato del lavoro: record europeo della disoccupazione giovanile; record europeo (negativo) della formazione giovanile; record europeo del lavoro nero e irregolare (che riguarda 5 milioni di italiani, pari al triplo della media dei paesi dell’ Unione europea, sottratti anche alle tutele previdenziali).

    La riforma di un mercato del lavoro con aspetti di rigidità che facevano guadagnare la maglia nera al nostro paese appariva da anni non più rimandabile. L’obiettivo della legge Biagi è quello di rendere trasparente il mercato del lavoro e quello di aumentare l’occupazione attraverso un miglior incontro tra domanda e offerta di lavoro (intermediazione più efficiente ed efficace e reciproco adattamento tra lavoratori e imprese, soprattutto per quanto attiene all’orario di lavoro). 

In sintesi i punti della riforma Biagi

 

Gli strumenti individuati dalla legge possono essere così sintetizzati:

· Rete integrata e informatizzata di servizi pubblici e privati di intermediazione (solo il 4 % dei contratti di lavoro passa attualmente attraverso i centri per l’impiego).

· Formazione e riqualificazione professionale continua attraverso tutto l’arco della vita (per essere sempre competitivi sul mercato del lavoro e aggiornati sulle nuove tecniche e tecnologie).

· Adattabilità reciproca tra lavoratori e imprese (in modo da ottimizzare le probabilità d’incontro positivo fra esigenze dei lavoratori e vincoli delle imprese).

· Collaborazione paritetica tra organizzazioni sindacali e datoriali, in modo da procedere verso obiettivi condivisi e relazionarsi sempre in un clima di pacifica soluzione dei conflitti.

· Coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza, attualmente suddivise fra INPS, INAIL e Ministero del Welfare, e spesso inefficienti, inefficaci e ridondanti.

    La legge prevede anche una serie di contratti di lavoro di tipo nuovo e amplia l’utilizzabilità di forme già esistenti per dare maggiore flessibilità al mercato, nell’ambito di una tutela minimale della parte debole del rapporto: contratti di somministrazione di lavoro, contratti stabili a tempo parziale, contratti stabili di lavoro intermittente, contratti a progetto - versione tutelata dei famigerati Co.Co.Co - contratti di lavoro occasionale e accessorio, job sharing.

    L’ampia e articolata riforma del mercato del lavoro nel privato (non si applica, infatti, per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale) è stata definita come "Riforma per la persona e per l’Impresa"; l’obiettivo primario non è stato quello di apportare ritocchi o correttivi alle norme esistenti, ma di rivoluzionare tutto il sistema lavoro in Italia, definito da Biagi come "il peggior mercato del lavoro in Europa", caratterizzato dai tanti lacci e lacciuoli che pongono il nostro Paese in posizione di netto svantaggio sul piano della competitività internazionale.

    I nuovi istituti giuridici dovrebbero garantire una maggiore facilità a chi cerca lavoro; offrono un ventaglio di nuove possibilità di flessibilità ai giovani, alle donne e a chi ha più di 50 anni; anche chi offre lavoro vedrà ridotti i vincoli che un tempo ostacolavano l’ingresso nel mondo del lavoro.

Con "legge Biagi" si è aperta ufficialmente la "fase due" del lavoro flessibile nel nostro paese. Dopo che la "legge Treu" aveva accompagnato una prima diffusione delle forme contrattuali considerate atipiche (perché diverse dal tempo indeterminato a orario pieno), la legge Biagi espande ulteriormente gli strumenti di flessibilità in entrata a disposizione delle imprese (lavoro a progetto, a chiamata, ripartito, staff leasing, contratti di inserimento). Di fronte a un intervento così ampio, è forte la curiosità circa gli effetti e la ricaduta sulle dinamiche occupazionali e sulla qualità delle opportunità d’impiego.

    L’impianto complessivo della riforma è stato accolto positivamente dalle imprese, secondo le quali le nuove norme modernizzano il rapporto di lavoro e introducono più libertà sia per l’imprenditore che per i lavoratori.

Anche alcuni studiosi esprimono un giudizio sostanzialmente positivo sulla riforma, non foss’altro che per lo spirito d’innovazione che la pervade. Resta da vedere come la riforma verrà concretamente applicata e, soprattutto, interpretata dalla giurisprudenza,

chiamata a cogliere, in una prospettiva equilibrata e di rispetto dei diritti dei lavoratori, le esigenze di rinnovamento del mondo del lavoro, sempre più caratterizzato da globalizzazione e competitività.

Ma la riforma ha anche suscitato critiche e perplessità, soprattutto per i rischi di un aumento della precarietà.

CGIL e opposizione di centro-sinistra ritengono, infatti, che la legge stravolga i punti fondamentali che caratterizzano il diritto del lavoro, primo fra tutti il principio del favor praestatoris, cioè la tutela del lavoratore quale soggetto fisiologicamente più debole nel rapporto di lavoro; la riforma, che spinge verso la individualizzazione dei rapporti di lavoro e un ampliamento della tipologia dei lavori atipici, rischia inoltre di aumentare il potere delle aziende, riducendo il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori; infine, ciò che viene spesso sbandierato per flessibilità potrebbe facilmente tradursi in una eccessiva precarietà e mancanza di tutele.

In ogni caso si tratta di una rivoluzione, dalla quale uscirà un sistema misto pubblico-privato: diversi canali di assunzione entreranno in concorrenza tra loro. La speranza è che dalla competizione possa trarre beneficio anche chi un lavoro non ce l’ha e lo sta cercando.

 

L’albero di Marco

 

Vecchio e caro abete

che da tanti anni resisti alla neve e ai malanni

con la tua ardita punta rivolta verso il cielo

dammi l’aiuto per togliere il velo

che nasconde il suo caro volto.

Io, in silenzio, resto in ascolto

per udire almeno la sua voce lontana

che tranquilla mi dice: "Chi è che mi chiama?

chi è che mi cerca nel mio modo silente?

Io vi vedo, vi guardo. Oh! Quanta gente

che ancora ricorda con amore e tremore

che il messaggio era soltanto d’amore!".

 

Giorgio Biagi,

Lizzano in Belvedere,

22 novembre 2003

 

 

 

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