Reportages 2004 - Buona lettura

Cultura

Archivi fotografici

La fotografia come documento 

del patrimonio e come Bene culturale.

 

di Emanuela Rizzo

 

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     Nata ufficialmente nel 1839, anno in cui Daguerre riuscì a fissare le immagini "che si dipingono da sole dentro una camera oscura", etimologicamente deriva dall’unione dei due termini greci photós e gráphein, cioè scrivere con la luce.

     In realtà, le origini del "procedimento di riproduzione delle immagini" sono più lontane e si basano oltre che sulla sensibilità che alcune sostanze sviluppano alla luce, sugli studi dei fenomeni ottici (camera oscura) già noti in modo teorico ad Aristotele, all’astronomo arabo       Alhazen, a Ruggero Bacone e a Leonardo da Vinci.

     Nel corso degli anni il concetto di "fotografia" ha creato nella critica, due opposti schieramenti tra coloro i quali la ritenevano solamente il risultato di un procedimento ottico, meccanico e chimico e quindi la relegavano ad un semplice oggetto decorativo, un mezzo con il quale la natura provvedeva con i suoi stessi mezzi (luce del sole) a riprodurre se stessa, e coloro i quali la ritenevano uno strumento in grado di documentare non solo in modo obiettivo, oggettivo avvenimenti e beni, ma anche il mezzo per riuscire a preservare dal degrado del tempo o dalla mano distruttrice dell’uomo, almeno l’immagine di monumenti, edifici, stampe, manoscritti e ogni opera d’arte.

     La presa di coscienza sull’ineluttabilità circa la costituzione degli "archivi fotografici", si avverte ancor di più nei primi decenni del Novecento quando si percepisce la " necessità di conservare in qualche modo una memoria sicura dei tesori che una sventura improvvisa ci può per sempre rapire". Il timore avvertito dallo storico dell’arte Pietro Toesca nel 1904, quasi come se fosse un "pensiero profetico", si concretizzerà con il tragico incendio che colpì la Biblioteca nazionale di Torino la notte del 25 e 26 gennaio del 1904, e il terremoto che colpirà Messina e Reggio Calabria il 28 dicembre del 1908.

     È evidente quindi che in questo periodo la documentazione fotografica, oltre ad affermarsi come mezzo indispensabile per la salvaguardia documentaria del patrimonio artistico italiano, si riallaccia a quelle proposte avviate già a partire dalla fine dell’Ottocento e che ora risentono di un’ulteriore esigenza circa il metodo classificatorio e inventariale, questione che si protrarrà nel tempo prima di giungere alla formulazione di una normativa nazionale uniforme, ma che aveva trovato applicazione in ambienti anche lontani da quello della tutela del patrimonio artistico e architettonico; si pensi alla scelta metodologica comprovata dalle tavole de L’uomo delinquente realizzato nel 1876 dallo psichiatra Cesare Lombroso, dove si riconoscevano i criminali ripartiti in categorie a seconda del reato commesso e ordinati in un elenco alfabetico con acclusa biografia.

     Ripercorrendo gli avvicendamenti che hanno portato alla costituzione delle moderne raccolte fotografiche, è doveroso partire dal fatidico 1839 e cioè dallo stesso anno in cui veniva pubblicato l’articolo sul quotidiano "Gazette de France", quando Jean Vatout, presidente della commissione francese dei "Monuments Historiques", si affidava alla fotografia per creare la collezione "des plans et des dessins" dei monumenti francesi, conferendo a questo strumento "un ruolo di documentazione indiretta ma già precisamente orientato in senso archivistico".

Successivamente, nel 1893 Léon Vidal e Fleury-Hermagis danno vita al "Musée des Photographies Documentaires" e nel 1894 Jerome Harrison propone la realizzazione di musei fotografici da costituirsi in tutto il mondo.

     Il suggerimento è accolto in Svizzera da E. Demole, che a Ginevra nel 1900 darà origine al "Museo Svizzero di Fotografie Documentarie" e in Inghilterra dove Benjamin Stone, nello stesso anno, formerà nel British Museum una collezione di stampe fotografiche aventi come soggetto quegli edifici e luoghi altrimenti destinati a scomparire.

In Italia nel 1892 all’interno del Ministero della pubblica istruzione, venne fondato un "Ufficio fotografico" con annesso archivio pubblico e centro di attività produttiva dei materiali fotografici.

     Questo "Ufficio" in seguito divenuto Gabinetto Nazionale Fotografico, fu fondato dall’ing. Giovanni Gargiolli che fino a quel momento aveva diretto il laboratorio di fotoincisione presso la Regia Calcografia.

     L’intento di tale istituzione era riprodurre e documentare quei beni dell’arte italiana ritenuti degni di nota per poter avviare quel processo di conoscenza, divulgazione e fruizione del patrimonio storico artistico in una veste del tutto nuova: corredato di immagini a stampa.

Nel 1899 Camillo Boito, Giuseppe Fumagalli, Gaetano Moretti e Corrado Ricci, prendendo spunto dall’istituzione dell’Ufficio Fotografico del Ministero della

     Malgrado questa opposizione, nel 1889 i direttori delle maggiori istituzioni culturali di Milano, avevano caparbiamente cominciato a raccogliere le fotografie donate dai sostenitori di tale iniziativa, rappresentanti di una borghesia colta, amante dei viaggi e della cultura artistica, capace di cogliere e "fissare" mondi inesplorati, culture e architetture; nel 1901 queste già formavano "una raccolta bene ordinata di circa quindicimila fotografie d’oggetti d’arte e di monumenti d’Italia e dell’estero".

     Nonostante la fotografia in questi anni si confermi come mezzo oggettivo a cui viene assegnato il compito di "documentare", in ambito italiano non si segnalano realizzazioni concrete e tangibili concernenti raccolte fotografiche documentarie, poiché ancora nel 1929, si riproponeva la costituzione di raccolte fotografiche annesse alla biblioteche.

     A tal proposito, quando nel 1924 venne creato l’Istituto Luce (L’Unione Cinematografica Educativa) che acquisì archivi di cronaca, fondi fotografici e assunse il controllo del Gabinetto Fotografico del Ministero della Pubblica Istruzione, Carlo Bertelli disse: "Era la grande occasione per costituire sia un inventario storico che un inventario attuale dell’Italia. Quell’occasione andò completamente perduta, come se il fascismo avesse timore di ciò che la fotografia potesse rivelare".

     Bisognerà aspettare il secondo dopoguerra per scorgere un nuovo interessamento e quindi la riorganizzazione degli archivi o la realizzazione di altri, questa volta con una nuova consapevolezza, salvaguardare l’oggetto fotografico non solo più come fonte documentaria, ma come documento esso stesso.

     In Italia, infatti, l’interesse verso la fotografia intesa come Bene culturale, è molto recente, solo nel 1999, con la redazione del "Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali", la fotografia è stata ritenuta, non solo più mezzo "analogico", cioè basato su un apparecchio meccanico capace di riprodurre gli aspetti del reale, o strumento in grado di documentare visivamente Beni mobili ed immobili, ma anche Bene culturale essa stessa, soggetto-oggetto sottoposta a disposizioni di tutela, conservazione e valorizzazione.

     Infatti la legge n.1089/1939, ordinamento principale per la tutela e la conservazione del patrimonio culturale italiano, che definì per la prima volta in modo organico le "cose immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico", tralasciò invece di parlare del bene "fotografia". Nel successivo D.P.R. del 3 dicembre 1975 n. 805, emanato in occasione dell’organizzazione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, il riferimento al bene "fotografia" si limitava ad un accenno sull’allora recente Istituto Nazionale per la Grafica che aveva il compito di "salvaguardia, catalogazione e divulgazione del materiale grafico e fotografico", senza nessuna indicazione sulla regolamentazione in materia.

     Nel 1979, in conseguenza dell’istituzione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) avvenuta nel 1975, le Soprintendenze avvertirono l’esigenza di elaborare delle norme omogenee, per poter affrontare "correttamente" e uniformemente la fase di catalogazione del patrimonio fotografico. Da qui scaturirono le prime ipotesi di intervento come quella proposta a Modena nel convegno La fotografia come bene culturale, (1979) nel quale si propose la realizzazione di una scheda di catalogo in cui sarebbero state annotate le informazioni riguardanti l’oggetto fotografia. Sempre nel 1979, a Perugia la Commissione fototeca dell’Istituto per la Storia dell’Umbria dal Risorgimento alla Liberazione, avviò un’iniziativa che aveva lo scopo di: "1. Censire le raccolte fotografiche riguardanti l’Umbria; 2. Predisporre la catalogazione e la schedatura di tale materiale; 3. Raccogliere e schedare il materiale prodotto dalle ricerche in corso; 4. Sensibilizzare enti ed istituti, e principalmente le biblioteche, perché provvedano alla schedatura e catalogazione dei fondi fotografici in loro possesso".

     Tra il 1978 e il1980, l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, affida ad un gruppo di ricerca coordinato da Corrado Fanti, il compito di realizzare un sistema di schedatura analitico e sintetico, da adoperarsi nelle nuove Fototeche pubbliche.

Malgrado la mancanza di una specifica legislazione che regolasse e definisse il patrimonio fotografico, gli Organi competenti del settore, avvertirono autonomamente la necessità di mettere a punto un modello unificato di schedatura.

     La Regione Emilia-Romagna, si dimostrò essere l’Ente più sensibile e impegnato verso il materiale fotografico. La Soprintendenza per i Beni Librari e Documentari della Regione, infatti, portò a termine tra 1987 e 1989, la redazione del Manuale di Catalogazione. Esso, preceduto da una lunga e complessa elaborazione, fu realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Giuseppina Benassati.

     Questo Manuale, che sino al 1999, anno in cui l’ICCD, ha reso pubblica la prima parte della scheda F, sarà l’unico punto di riferimento dei catalogatori.

Finalmente il "Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali", emanato col Decreto Legislativo del 29 ottobre 1999, ha inserito anche la fotografia tra i Beni Culturali.

     L’ICCD in collaborazione con l’ING (Istituto Nazionale per la Grafica), l’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico), l’ACS (archivio Centrale dello Stato), le regioni Friuli Venezia-Giulia e Emilia-Romagna, e il Museo dell’immagine fotografica e delle arti visuali dell’Università Tor Vergata di Roma, ha elaborato e reso pubblica nel 1999, la prima parte della scheda F dedicata alla Fotografia.

     Questa, che sostituisce la scheda FT, elaborata nel 1996, ma mai dichiarata definitiva in sede di pubblicazione ufficiale, costituisce la normativa formale per la catalogazione della fotografia.

     Le motivazioni che hanno spinto i citati Istituti ed Enti a definire degli standard catalografici per la fotografia, sono molteplici: l’esigenza di preservare dall’oblio il nostro patrimonio fotografico; l’accessibilità e l’interscambiabilità dello stesso; la necessità di catalogarlo secondo norme equanimi.

E.R.

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